Venerdì, 19 Aprile 2024

SI SPOSA - Settimanale di informazione per gli sposi Anno 11° - Numero 30

Tripudio di cristalli per il brand Giusari

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Il nostro reportage milanese fa tappa all’Hotel Principe di Savoia, per un fuori salone letteralmente “brillante”! Si tratta dell’esposizione di un marchio calabrese, Giusari Collezioni, che incontriamo per la prima volta e che ci ha stupito per la sua visione della sposa. Il brand è noto per realizzare i suoi capi utilizzando molto i cristalli, cosicché le sue creazioni splendono di luce propria e colpiscono al cuore. Abiti gioiello, interamente ricamati e impreziositi da cristalli di elevata qualità e fattura, che da soli bastano a conferire alla sposa un’immagine di radiosa eleganza. Lo stilista del marchio, Giuseppe Sarubbo, si definisce teatrale e provocatorio, ha una personalissima visione della sposa e il suo stile è apprezzato in tutto il mondo, tanto da voler creare un super brand che inglobi tante eccellenze italiane del campo bridal, per esportarlo ovunque, laddove ci sia bisogno di riconoscere l’identità italiana nell’artigianalità di un vestito da sposa. Di questo e di tanto altro abbiamo parlato con lui, che ci ha fornito un quadro completo della sua visione innovativa.
Ci racconti la storia del marchio: dove nasce, da chi nasce e come si sviluppa negli anni?
La storia del marchio nasce dal mio nome, infatti Giusari è l’insieme del mio nome e del mio cognome, Giuseppe Sarubbo, e poi abbiamo messo “i” che sta per internazionale. Nel giro di pochi anni siamo riusciti ad affacciarci in un settore italiano e anche internazionale, essendo presenti in Europa e Nord Africa, e abbiamo partecipato a delle fiere in America, abbiamo fatto molte sfilate all’estero, dall’Australia alla Russia. Tutto questo in dieci anni di attività. Siamo degli specialisti nel lavorare coi cristalli, in quanto realizziamo prettamente abiti di cristalli montati con macchine a ultrasuoni. Il nostro abito è creato totalmente da noi, seguiamo la filiera interna di tutta la produzione. Quindi abbiamo l’ufficio design che disegna pizzi, e poi trasformiamo il disegno in pizzo, poggiandolo e realizzandolo con le macchine del ricamo. Perciò il nostro pizzo è esclusivo a livello mondiale, non si può avere uguale. Mi sono sempre rifiutato di fare qualsiasi cosa all’estero e sono diventato anche competitivo, creando un’azienda che è un po’ artigiana e un po’ industriale. Sono riuscito anche ad abbattere il prezzo confermando la mia competitività. Non posso essere copiato dai cinesi perché la mia è una nicchia di mercato, impossibile da copiare. Noi sul pizzo scriviamo direttamente il nome del marchio, Giusari, come anche Made in Italy e i capi Giusari si riconoscono da queste due cose, dalla scritta sulla stoffa e dal Made in Italy. Nel tempo ho avuto difficoltà a entrare nel marcato italiano, però oggi in un momento di crisi dove sembra che il mercato abbia delle perdite, io sono invece in crescita, proprio perché ho un prodotto particolare ed è Made in Italy vero. Prezzo, qualità e tipologia di clientela, queste per me sono le armi vincenti.
Quindi la vostra caratteristica è solo l’abito cristallo?
Sì, anche se adesso stiamo preparando abiti da cerimonia, poiché ho visto che nel settore italiano c’è una carenza di abiti da cerimonia, sono tutti uguali, tutti Made in China. Le aziende che facevano cerimonia hanno ormai chiuso e per questo ho preparato venti capi colorati che presenterò alla fiera in Giappone. Quest’anno saremo presenti a Roma, a Milano, a New York, a Rio de Janeiro e poi in Russia.
Come saranno questi capi da cerimonia?
Saranno capi in pura seta, con delle linee di cristalli e pizzi realizzati interamente da noi.
In base ai mercati che volete abbracciare disegnate determinate linee?
Esistono solo due mercati, uno è quello arabo che richiede colori forti (come il dorato) e cristalli di grandi dimensioni, marcati e appariscenti, l’altro è quello italiano, occidentale diciamo, dal gusto più soft. Quindi alla fine bisogna creare tre linee, una per il mondo musulmano, un’altra per quello ebreo, che si distingue dal mondo musulmano solo un po’ per i colori, e un’altra ancora per il mondo europeo o sud americano.
Vorrei tanto riuscire a controllare il prezzo finale dell’abito, ossia quello del rivenditore. Questa cosa l’ho proposta anche ad altre aziende; vorrei creare un brand molto forte in Italia, con dei nostri negozi, dove possiamo controlliamo il prezzo finale, perché oggi non si può più vendere il capo alle stesse cifre di un tempo.

Quindi vorrebbe aprire dei monomarca?
Di più. Io ho un sogno: vorrei unire cinque brand italiani forti in un solo nome, un solo negozio, dove ognuno di noi ha il proprio marchio e allo stesso tempo è socio del negozio.
È una cosa molto complessa?
È un nuovo tipo di franchising, dove riusciamo a controllare il prezzo finale e il negoziante è solo un gestore dei vari marchi, così noi possiamo creare un brand forte nel mondo e vincere la concorrenza cinese, la quale non ha un’identità, ma solo abiti copiati in serie.
Questa realtà che lei sogna esiste già?
No, non esiste. I franchising di abbigliamento sono monomarca, io vorrei invece creare un brand dei produttori italiani che sono rimasti.
Avete già trovato delle collaborazioni o ci state ancora lavorando?
La difficoltà è proprio trovare i collaboratori. Però se non si va verso questa direzione il Made in Italy scomparirà, perché i nostri costi non ci permetteranno di sopravvivere.

Lucia Nachira
Foto: Verardi Produzioni

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